lunedì 4 febbraio 2013

Un giorno speciale



UN GIORNO SPECIALE ALLA SCOPERTA DEI LICEI  DI CASACALENDA.

Vi racconto le mie impressioni dopo la visita al Liceo Delle Scienze Umane e Liceo Linguistico di Casacalenda. Non ero mai stata a Casacalenda, ma la mattina dell’open day ero impaziente d’arrivare a destinazione. Ero accompagnata dalla mia famiglia e dalla mia migliore amica, tutti curiosi quanto me di visitare la sede dei licei. L’accoglienza fu davvero gradevole: tutti i presenti erano gentili e disponibili. Sulle pareti dell’atrio facevano bella mostra di sé i cartelloni realizzati dai ragazzi, specchio allegro dei momenti di vita degli allievi della scuola. I grossi fogli colorati accoglievano tante foto, che avevano tutta l’aria di riferirsi agli stage all’estero, come si affrettavano a spiegarmi i docenti, mentre m’invitavano a salire le scale per  visitare le aule. Queste ultime avevano le pareti colorate, erano spaziose e luminose.  Contai i banchi in un’aula, erano solo dieci. L’intera struttura, tinteggiata di un color giallo intenso, mi sembrava confortevole, non molto grande, “a misura di ragazzo”. Il tempo passava, ma le novità non erano finite ed io non credevo alle mie orecchie: avrei visitato anche la biblioteca e l’auditorium. In biblioteca il numero di volumi, la disposizione dei tavoli e l’ampiezza della sala invitavano ad approfittarne. Proseguendo la visita mi resi conto che non avevo mai visto una sala simile all’auditorium e già mi figuravo sprofondata nella sua atmosfera. Anche i laboratori non erano niente male, davvero ben attrezzati! Mentre mi guardavo intorno, la voce di una docente descriveva il quadro orario, le discipline caratterizzanti della scuola, le varie attività e rispondeva alle mie domande in merito.  Non avevo ancora visto il Dirigente Scolastico, ma tutti gli insegnanti presenti lo descrissero come una persona molto attenta al benessere dei suoi alunni ed aperto al confronto con loro. Ero convinta d’aver speso bene il mio tempo quella mattina, quando la collaboratrice scolastica mi salutò augurandosi di vedermi lì durante il prossimo anno scolastico. Conclusi la mia visita rispondendo al suo sorriso.  
                                                                                                                             A.P.

venerdì 12 ottobre 2012

L’ETA’ DEI GRANDI INTERROGATIVI ?



 La Prof.ssa Iantomasi, idealmente sempre vicina,  vi invia la seguente poesia.


L’ETA’ DEI GRANDI INTERROGATIVI?

CHI SONO

Da qualche tempo una voce
perfida che non s’oblia
rivolge all’anima mia
una domanda feroce.

Oh come vorrei
rispondere! Son due sole
parole, due parole
 piccolissime: chi sei?

rispondere! vorrei bene
far tacere questa voce
additando la mia croce,
numerando le mie pene;

ma quando ascolto il suono
tristissimo al cuore mio
solo e tremante anch’io,
dico e ridico: chi sono?
 
              Marino Moretti

domenica 30 settembre 2012

LETTERA DELLA PROF.SSA IANTOMASI AGLI EX ALUNNI



Carissimi ragazzi,                                                          Settembre 2012                                                                                              
La scuola ha da poco riaperto i battenti e vi ha riproposto le sue “croci” e le sue “delizie”. L’anno appena iniziato sarà per voi un anno importante e faticoso, ma ricco di nuove sfide da affrontare con tutto il coraggio dei vostri giovani anni. Rimanere insieme, fare squadra, trovare ogni giorno il sorriso di un amico o la mano tesa di un insegnante vi aiuterà a discernere, a scavarvi dentro con la caparbietà necessaria per operare le scelte più adatte alle vostre esigenze.
I passi che muoverete nei prossimi mesi saranno saldi, perché le vostre orme cresceranno di dimensioni. Gli sguardi coglieranno linee di orizzonti sempre più lontani, perché sarete più alti ed i vostri occhi saranno sempre più vicini al cielo. I banchi diventeranno sempre più stretti e le sedie sempre più piccole.
Quando, guardandovi allo specchio, stenterete a riconoscervi, non temete. Ricordate che crescere è da sempre e per tutti un’opera di pazienza e costanza che contiene in sé una traccia del divino. Se, osservando piccoli uomini e piccole donne, avrete fretta di farli vivere, sappiate che ogni umana impresa degna di nota è caratterizzata da tappe, ostacoli da superare, momenti per dare il meglio di sé, attimi per scoprire le strade verso il domani.
Se durante le lunghe ore di lezione vorrete correre via, trattenetevi e lasciate, invece, le vostre menti sui libri, sulle immagini, sulle parole, perché ogni giorno tutto questo vi arricchirà, trasformandosi in futura saggezza.
Vi auguro di cuore che la scuola sappia vedervi come le persone meravigliose che siete, che possa offrirvi incontri significativi, che guardi a voi con l’amore ed il rispetto che da sempre la contraddistinguono. Auspico che la scuola sappia guidarvi verso il Bene senza imporvi le sue regole, ma condividendo un cammino. Spero che la scuola sia in grado di raccogliere le vostre provocazioni e rispondere alle vostre domande più profonde, insegnandovi il valore della dignità e quello della libertà. Desidero che la vostra sete di vita e di felicità sia soddisfatta e poi aumentata ancora. Da sempre considero le aule come luoghi di dialogo, di scambio e d’arricchimento reciproco e tali siano le vostre, in presente come in futuro. Vi abbraccio con l’auspicio che il Bello, il Buono e l’Autentico che albergano in ciascuno di voi possano accrescersi ed emergere ogni giorno di più. Buono studio a tutti. A presto.
                                                                            Antonella Iantomasi

DISATTENZIONE



DISATTENZIONE
Ieri mi sono comportata male nel cosmo.
ho passato tutto il giorno senza fare domande,
senza stupirmi di niente.
ho svolto attività quotidiane,
come se ciò fosse tutto dovuto.
Inspirazione, espirazione, un passo dopo l'altro, incombenze,
ma senza un pensiero che andasse più in là
dell'uscire di casa e del tornarmene a casa.
Il mondo avrebbe potuto essere preso per un mondo folle,
e io l'ho preso solo per uso ordinario.
Nessun come e perché -
e da dove è saltato fuori uno così -
e a che gli servono tanti dettagli in movimento.
Ero come un chiodo piantato troppo in superficie nel muro
(e qui un paragone che mi è mancato).
Uno dopo l'altro avvenivano cambiamenti
perfino nell'ambito ristretto d'un batter d'occhio.
Su un tavolo più giovane da una mano d'un giorno più giovane
il pane di ieri era tagliato diversamente.
Le nuvole erano come non mai e la pioggia era come non mai,
poiché dopotutto cadeva con gocce diverse.
La terra girava intorno al proprio asse,
ma già in uno spazio lasciato per sempre.
E' durato 24 ore buone.
1440 minuti di occasioni.
86.400 secondi in visione.
Il savoir-vivre cosmico,
benché taccia sul nostro conto,
tuttavia esige qualcosa da noi:
un po' di attenzione, qualche frase di Pascal
e una partecipazione stupita a questo gioco
con regole ignote.
 Wislawa Szymborska
(Da “Due punti”, Adelphi 2006)

giovedì 2 giugno 2011

LUIGI PIRANDELLO


LUIGI PIRANDELLO



IL TRENO HA FISCHIATO…

Farneticava. Principio di febbre cerebrale, avevano detto i medici; e lo ripetevano tutti i compagni d’ufficio, che ritornavano a due, a tre, dall’ospizio, ov’erano stati a visitarlo. Pareva provassero un gusto particolare a darne l’annunzio coi termini scientifici, appresi or ora dai medici, a qualche collega ritardatario che incontravano per via:
-         Frenesia, frenesia.
-         Encefalite.
-         Infiammazione della membrana cerebrale.
E volevano sembrare afflitti; ma erano in fondo così contenti, anche per quel dovere  compiuto; nella pienezza della salute, usciti da quel triste ospizio al gajo azzurro della mattinata invernale.
- Morrà? Impazzirà?
-Mah!
-Morire, pare di no…
- Ma che dice? Che dice?
- Sempre la stessa cosa. Farnetica…
- Povero Belluca!
E a nessuno passava per il capo che, date le specialissime condizioni in cui quell’infelice viveva da tant’anni, il suo caso poteva anche essere naturalissimo; e che tutto ciò che Belluca diceva e che pareva a tutti delirio, sintomo della frenesia, poteva anche essere la spiegazione più semplice di quel naturalissimo caso. Veramente, il fatto che Belluca , la sera avanti, s’era fieramente ribellato al suo capo-uffico, e che poi, all’aspra riprensione di questo, per poco non gli s’era scagliato addosso, dava un serio argomento alla supposizione che si trattasse di una vera e propria alienazione mentale.
Perché uomo più mansueto e sottomesso, più metodico e paziente di Bellica non si sarebbe potuto immaginare.Circoscritto…sì, chi l’aveva definito così? Uno dei suoi compagni d’ufficio. Circoscritto, povero Belluca, entro i limiti angustissimi della sua arida mansione di computista, senz’altra memoria che non fosse di partite aperte, dipartite semplici o doppie o di storno, e di defalchi e prelevamenti e impostazioni ; note, libri-mastri partitarii, stracciafogli e via dicendo. Casellario ambulante: o piuttosto, vecchio somaro, che tirava zitto zitto, sempre d’un passo, sempre per la stessa strada la carretta, con tanto di paraocchi. Orbene, cento volte questo vecchio somaro era stato frustato, fustigato senza pietà, così per ridere per il gusto di vedere se si riusciva a farlo imbizzire un po’, a fargli almeno drizzare un po’ le orecchie abbattute, se non a dar segno che volesse levare un piede per sparar qualche calcio. Niente! S’era preso le frustate ingiuste e le crudeli punture in santa pace, sempre, senza neppur fiatare, come se gli toccassero, o meglio, come se non le sentisse più, avvezzo com’era da anni e anni alle continue solenni bastonature della sorte.
Inconcepibile, dunque, veramente quella ribellione in lui, se non come effetto d’una improvvisa alienazione mentale. Tanto più che, la sera avanti, proprio gli toccava la riprensione; proprio aveva il diritto di fargliela, il capo-ufficio. Già s’era presentato la mattina, con un’aria insolita, nuova;e- cosa  veramente enorme, paragonabile che so?Al crollo d’una montagna- era venuto con più di mezz’ora di ritardo. Pareva che il viso, tutt’a un tratto, gli si fosse allargato. Pareva che i paraocchi gli fossero tutt’a un tratto caduti, e gli si fosse scoperto, spalancato d’improvviso all’intorno lo spettacolo della vita. Pareva che gli orecchi tutt’a un tratto gli si fossero sturati e percepissero per la prima volta voci, suoni, non avvertiti mai. Così ilare, d’una ilarità vaga, piena di stordimento, s’era presentato all’ufficio. E, tutto il giorno, non aveva combinato niente. La sera, il capo-ufficio, entrando nella stanza di lui, esaminati i registri, le carte:
-         E come mai? Che hai combinato tutt’oggi?
Belluca lo aveva guardato sorridente, quasi con un’aria d’impudenza aprendo le mani.
-         Che significa?- aveva allora esclamato il capo-ufficio, accostandoglisi e prendendolo per una spalla e scrollandolo—Ohé, Belluca!
-         Niente- aveva risposto Belluca, sempre con quel sorriso tra d’impudenza e d’imbecillità sulle labbra- Il treno, signor Cavaliere.
-         Il treno? Che treno?
-         Ha fischiato.
-         Ma che diavolo dici?
-         Stanotte signor Cavaliere. Ha fischiato. L’ho sentito fischiare…
-         Il treno?
-         Sìssignore. E se sapesse dove sono arrivato! In Siberia…oppure oppure…nelle foreste del Congo…Si fa in un attimo, signor Cavaliere!
Gli altri impiegati, alle grida del capo-ufficio imbestialito, erano entrati nella stanza e, sentendo parlare così Belluca, giù risate da pazzi. Allora il capo-ufficio- che quella sera doveva essere di malumore- urtato da quelle risate, era montato su tutte le furie e aveva malmenato la mansueta vittima di tanti suoi scherzi crudeli. Se non che, questa volta, la vittima, con stupore e quasi con terrore di tutti si era ribellata, aveva inveito, gridando sempre quella stramberia del treno che aveva fischiato, e che, perdio, ora non più, ora ch’ egli aveva sentito fischiare il treno, non poteva più, non voleva più essere trattato in quel modo. Lo avevano a viva forza preso, imbracato e trascinato all’ospizio dei matti […]
Non avevo veduto mai un uomo vivere come Belluca. Ero suo vicino di casa, e non io soltanto, ma tutti gli altri inquilini della casa si domandavano con menome mai quell’ uomo potesse resistere in quelle condizioni di vita. Aveva con sé tre cieche, la moglie, la suocera e la sorella della suocera: queste due, vecchissime, per cataratta, l’altra, la moglie, senza cataratta, cieca fissa; palpebre murate. Tutt’e tre volevano esser servite. Strillavano dalla mattina alla sera perché nessuno le serviva. Le due figliuole vedove, raccolte in casa dopo la morte dei mariti, l’una con quattro, l’altra con tre figliuoli, non avevano mai né tempo né voglia da badare ad esse; se mai, porgevano qualche aiuto alla madre soltanto. Con lo scarso provento del suo impieguccio di computista poteva Belluca dar da mangiare a tutte queste bocche? Si procurava altro lavoro per la sera, in casa: carte da ricopiare. E ricopiava tra gli strilli indiavolati di quelle cinque donne e di quei sette ragazzi, finché essi, tutt’e dodici, non trovavan posto nei tre soli letti della casa. Letti ampii, matrimoniali, ma tre. […] Ebbene, signori: a Belluca, in queste condizioni, era accaduto un fatto naturalissimo. Quando andai a trovarlo all’ospizio, me lo raccontò lui stesso, per filo e per segno. Era, sì, ancora un po’ esaltato, ma naturalissimamente, per ciò che gli era accaduto. Rideva dei medici, degli infermieri e di tutti i suoi colleghi, che lo credevano impazzito.
-         Magari!- diceva – Magari!
Signori, Belluca, s’era dimenticato da tanti e tanti anni - che il mondo esisteva. […]
Due sere avanti, buttandosi a dormire stremato su quel divanaccio, forse per l’eccessiva stanchezza, non gli era riuscito d’ addormentarsi subito. E, d’improvviso, nel silenzio profondo della notte, aveva sentito, da lontano, fischiare un treno. Gli era parso che gli orecchi, chissà come, d’improvviso, dopo tanti anni, gli si fossero sturati. Il fischio di quel treno gli aveva squarciato e portato via d’un tratto la miseria di tutte quelle sue orribili angustie, e quasi da un sepolcro scoperchiato s’era ritrovato a spaziare anelante nel vuoto arioso del mondo che gli si spalancava enorme tutt’intorno. S’era tenuto istintivamente alle coperte che ogni sera si buttava addosso, ed era corso con il pensiero dietro a quel treno che s’allontanava nella notte. C’era, fuori di quella casa orrenda, fuori di tutti i suoi tormenti c’era il mondo, tanto, tanto mondo lontano, a cui il treno s’avviava…Firenze, Bologna, Torino, Venezia…tante città, in cui egli da giovine era stato e che ancora, certo, in quella notte sfavillavano di luci sulla terra. Sì, sapeva la vita che vi si viveva! La vita che un tempo vi aveva vissuto anche lui! E seguitava, quella vita; aveva sempre seguitato, mentr’egli qua, come una bestia bendata, girava la stanga del molino. Non ci aveva pensato più. Il mondo s’era chiuso per lui, nel tormento della sua casa, nell’arida ispida angustia della sua computisteria…Ma ora, ecco, gli rientrava, come per travaso violento, nello spirito. L’attimo, che scoccava per lui, qua, in questa sua prigione, scorreva come un brivido elettrico per tutto il mondo, e lui con l’immaginazione d’improvviso risvegliata poteva, ecco, poteva seguirlo per città note e ignote, lande, montagne, foreste, mari…Questo stesso brivido, questo stesso palpito del tempo. C’erano, mentre egli qua viveva questa vita “impossibile”, tanti e tanti milioni di uomini sparsi su tutta la terra, che vivevano diversamente. Ora, nel medesimo attimo ch’ egli qua soffriva, c’erano le montagne solitarie nevose che levavano al cielo notturno le azzurre fronti…Sì, sì, le vedeva, le vedeva così…C’erano gli oceani…le foreste. E, dunque, lui-ora che il mondo gli era rientrato nello spirito- poteva in qualche modo consolarsi! Sì, levandosi ogni tanto dal suo tormento, per prendersi con l’immaginazione una boccata d’aria nel mondo. Gli bastava! Naturalmente, il primo giorno, aveva ecceduto. S’era ubriacato. Tutto il mondo, dentro d’un tratto: un cataclisma. A poco a poco si sarebbe ricomposto. Era ancora ebro della troppa aria, lo sentiva. Sarebbe andato, appena ricomposto del tutto, a chiedere scusa al capo-ufficio, e avrebbe ripreso come prima la sua computisteria. Soltanto il capo-ufficio ormai non doveva pretender troppo da lui come per il passato: doveva concedergli che di tanto in tanto, tra una partita e l’altra da registrare, egli facesse una capatina, sì, in Siberia…oppure…oppure nelle foreste del Congo:
-Si fa in un attimo, signor Cavaliere mio. Ora che il treno ha fischiato. 
  
                                            DA “NOVELLE PER UN ANNO”, MONDADORI, MILANO.